L'apartheid fra i traduttori di Amanda Gorman
È di questi giorni la notizia degli ostracismi, espressi o indotti, contro i traduttori “non idonei” del componimento [1] scritto e recitato dalla giovane poetessa afroamericana Amanda Gorman alla cerimonia di insediamento del nuovo presidente degli Stati Uniti Joe Biden.
Il primo di questi ostracismi ha colpito l’altrettanto giovane autrice e traduttrice [2] olandese Marieke Lucas Rijneveld, costretta a ritirarsi dall’incarico a seguito delle polemiche esplose sulle reti sociali per il fatto di essere etnicamente europea e dunque, secondo le critiche, inadatta a capire la sensibilità di una scrittrice afro.
Il secondo si è abbattuto, pare direttamente da oltre oceano, sul traduttore catalano Victor Obiols: ancora una volta troppo chiaro e per giunta anche uomo.
Sforziamoci di tralasciare per un attimo la facile ironia a cui prestano palesemente il fianco posizioni del genere; poiché in effetti si sarebbe più che legittimati a replicare con la massima serietà che allora è assolutamente da evitare anche far tradurre Omero a una persona che non abbia mai vissuto su un’isola e non sia almeno gravemente ipovedente, o che ancor peggio sia pensare di affidare la traduzione di Dante a chi non abbia scontato almeno qualche anno di confino.
Ed evitiamo pure il ginepraio delle derive ideologiche del politicamente corretto, per le quali ci affidiamo alle considerazioni espresse alcuni mesi fa da Carlo Verdone [3].
A dire il vero la polemica in corso potrebbe avere una logica di fondo, ossia l’attendersi dal traduttore una sensibilità che gli permetta di avere una certa empatia con l’autore dell’originale. Ma è quanto meno semplicistico e limitato aspettarsi che tale sensibilità sia garantita automaticamente dal condividere le stesse caratteristiche socio-anagrafiche. Quando mai?
Non c’è bisogno di scomodare gli Studi su Dante di Erich Auerbach o l’interpretazione di Aristotele di San Tommaso per avere l’evidenza che la capacità dell’interprete di affiancare e comprendere l’autore attraverso i suoi testi sta soprattutto nella capacità di immedesimarsi nel suo sguardo (fatta salva l’avvertenza di guardarsi dalla tentazione di sostituirsi o di parlare a nome dell’originale); e questo, quando l’interprete (e dunque anche il traduttore) è tale davvero e non solo per sbarcare il lunario, può avvenire indipendentemente da sesso, etnia, lingua, epoca.
L’interpretazione e la traduzione riescono dunque pienamente se vi è realmente un’adeguata “affinità elettiva”, ma soltanto anche se l’interprete è altro dall’autore; perché solo così il pensiero e il sentire di quest'ultimo possono farsi accessibili in maniera sempre più ampia.
Proprio per questo motivo le attuali polemiche sui traduttori della Gorman sono, oltre che miopi, anche sinceramente pericolose; perché fanno passare, nemmeno tanto velatamente, l’idea che debba esserci una letteratura per neri, una per donne...
Idea che ha tutto da spartire (questa sì) con la stupidità e la discriminazione e niente con la letteratura e l’arte.
1. Per il testo del componimento cfr. la trascrizione riportata il 20 gennaio 2021 dal quotidiano «The Guardian» [https://www.theguardian.com/us-news/2021/jan/20/amanda-gorman-poem-biden-inauguration-transcript].
2. Per l’uso del femminile cfr. la relativa pagina inglese di Wikipedia [https://en.wikipedia.org/wiki/Marieke_Lucas_Rijneveld], consultata il 13 marzo 2021.
3. Cfr. la registrazione video riportata il 17 novembre 2020 sul sito del quotidiano «Il Tempo» [https://www.iltempo.it/spettacoli-tv/2020/11/17/video/carlo-verdone-sfogo-contro-politicamente-corretto-compleanno-70-anni-25260736/].