Presso il Palazzo Te di Mantova dal 21 marzo al 12 dicembre 2021.
Venere è una divinità dell’Olimpo greco dalle numerose sfaccettature. Consacrata la più bella tra le dee dal giudizio di Paride, esprime i valori più profondi della natura: dalla fecondità propria della Venere genitrice, alla Venere Anadiomene che nasce dal mare, fino alla sublimazione della Venere celeste.
Questo nuovo percorso conduce attraverso le camere di Palazzo Te alla ricerca di Venere. Espressione del pensiero filosofico antico, la presenza di Venere negli affreschi e negli stucchi è da cogliere nelle sue caratteristiche essenziali che prendono forma nelle sculture e nei rilievi sopravvissuti nel tempo o che si trovano replicate nelle medaglie e nelle monete presenti nelle collezioni di antichità, poi riproposte in quanto
tali nelle decorazioni del Palazzo mantovano.
Una breve carrellata della mostra in compagnia del giornalista Stefano Scanzani per conto della Gazzetta di Mantova.
Presso il Palazzo Te di Mantova dal 21 marzo al 12 dicembre 2021.
Prenotazione di una visita alla mostra e al Palazzo Te con guida turistica autorizzata.
La presenza di Venere come protagonista delle decorazioni di Palazzo Te, in passato definito il “sacrario di Venere”, esprime il carattere ancestrale di questa divinità. Gli aspetti che la contraddistinguono, in alcuni casi anche in contrasto tra loro, si possono ritrovare nelle diverse rappresentazioni della dimora cinquecentesca: la Venere pudica, la Venere Velata, la Venere Vincitrice e le innumerevoli favole mitologiche che in alcuni casi la vedono coinvolta in un matrimonio con l’anziano Vulcano, oppure in una passione erotica con Marte, o addirittura in un coinvolgimento amoroso nefasto con Adone.
Venere, dunque, è espressione di concetti astratti quali la bellezza, l’amore, l’eros, la Natura, la Primavera, la fecondità, ma può anche dare forma a personaggi delle favole antiche, come Arianna, Olimpiade, Psiche, Antiope o le ninfe dei boschi e le nereidi.
Per queste ragioni Venere trova la sua più naturale collocazione a Palazzo Te, una dimora immersa nella Natura sull’isola del Tejeto ai margini di Mantova, un luogo di otia, come ricorda l’iscrizione sul cornicione della camera di Amore e Psiche, uno degli ambienti della dimora più ampiamente decorato da Giulio Romano e i suoi allievi.
L’impronta vitalistica delle decorazioni di Palazzo Te è il frutto della sperimentazione artistica di Giulio Romano e dei suoi allievi, che attraverso l’uso di svariate tecniche hanno dato forma a complessi cicli pittorici. La ricchezza delle decorazioni, quasi al limite di un horror vacui, coinvolge il visitatore nel flusso di grandi impianti decorativi alla ricerca attenta e divertita dei dettagli figurativi e ornamentali che riempiono ogni spazio delle pareti e dei soffitti delle camere. La complessità che anima ogni rilievo in stucco e ogni decorazione all’antica con fiori, uccellini e sofisticati motivi ornamentali prende spunto dalle cosiddette “grottesche” scoperte a Roma nella Domus aurea , l’antica casa di Nerone, che contribuirono a un rinnovamento fantastico del linguaggio decorativo cinquecentesco.
Allo stesso modo il collezionismo antiquario e i modelli antichi, scoperti in quegli anni a Roma e osservati da Giulio Romano, trovano un’elaborazione nel linguaggio formale dell’artista e dei suoi allievi a Mantova.
Gli affreschi di Palazzo Te ripropongono questi repertori antichi in una luce rivitalizzata e con nuova portata espressiva, ora giocosa ora drammatica, in particolare nella Camera di Psiche e nella sala dei Giganti.
Il percorso espositivo include le due opere legate alla produzione di Giulio Romano, in prestito a Palazzo Te dal Palazzo Ducale di Mantova. La splendida scultura Afrodite velata del II secolo avanti Cristo, appartenuta all’artista, è esposta nella Camera del Sole e della Luna, in dialogo con una delle piccole figure femminili a stucco dentro i lacunari della volta che presenta la stessa postura delle gambe e delle braccia e dal
panneggio della veste. L’arazzo con una ninfa spiata da un satiro e putti che giocano, allestito nell’Ala napoleonica, è stato tessuto tra il 1539 e il 1540 da Nicolas Karcher, arazziere fiammingo, trasferitosi a Mantova da Ferrara. L’opera fa parte di una serie, di cui sopravvivono otto panni, detta Giochi di Putti o Puttini, che è stata eseguita su disegno e cartone di Giulio Romano per il duca Federico II Gonzaga.