L'ippopotamo di Mantova

Tra il ‘500 e il ‘600 il Palazzo Ducale di Mantova colpiva i suoi illustri visitatori non solo per le decorazioni e le opere d’arte, ma anche per la ricca presenza delle cosiddette mirabilia, oggetti insoliti e impressionanti delle tipologie più disparate: rocce, animali o parti di animali imbalsamati, armi, argenterie, congegni meccanici...
Tra queste mirabilia una risultava davvero curiosa: si trattava di un ippopotamo impagliato o, come lo chiamò il matematico tedesco Joseph Fürttenbach in visita al palazzo nel 1626, “un vitello marino, detto anche cavallo marino, grande come un bue, ma non così alto di piedi”. Si trattava probabilmente di uno dei due ippopotami portati in Italia nel 1603 dal medico e filosofo Federigo Zerenghi, che erano stati catturati sulle rive del Nilo, uccisi con tre colpi di archibugio e poi messi sotto sale, secondo quanto racconta lo studioso francese Buffon nella sua Storia naturale edita nella seconda metà del ‘700.
I resti del povero animale superarono indenni il sacco di Mantova (1630) e la fine dei Gonzaga (1708) ed entrarono addirittura a far parte della collezione naturalistica dell’Accademia Nazionale Virgiliana, fondata da Maria Teresa d’Austria nel 1768 con il nome di “Reale Accademia di Scienze e Belle Lettere”.
Poco più di un secolo dopo, nel 1883, vennero trasferiti, e lì si trovano tuttora, al Museo di storia naturale dell’Università di Pavia ad opera del naturalista mantovano Giovanni Serafino Volta, canonico di Santa Barbara chiamato ad insegnare presso quell’università. Lo stesso Volta però testimoniava in una lettera al museo che i mantovani non presero bene lo spostamento, ma che anzi “continuano ad incolparmi di aver io fatto alla patria il furto di quell’animale”.

Tuttavia l’aspetto più incredibile dell’ippopotamo di Mantova è che, mentre era esposto nella galleria di Palazzo Ducale, su di esso era installata la mummia del Passerino, vale a dire il cadavere imbalsamato dell’ultimo Bonacolsi, Rinaldo detto il Passerino, ucciso durante il golpe dei Gonzaga nel 1328 e successivamente esposto a corte a guisa di trofeo.
È stato ancora Fürttenbach a raccontarlo: “Un vitello marino, detto anche cavallo marino, grande come un bue, ma non così alto di piedi; si tratta di un animale proprio goffo, con grande testa ed ampie fauci provviste di quattro gran denti ricurvi, lunghi ognuno due palmi e mezzo. Questa bestia è messa come se fosse viva, eppure è soltanto imbottita, la pelle è spessa un pollice. Su di essa sta completamente eretto il cadavere di Passerino Bonacolsi, coperto di una mantellina, affinché le dame non ne siano spaventate. Fu ucciso molto tempo fa da un mantovano, e infatti si può ancora vedere nel cranio una ferita molto estesa, e si dissanguò in modo che tutto il corpo superficialmente, come si presenta ora, si rinsecchì e si tostò, proprio come una mummia. Fu aperto da un fianco, così che è possibile vedere anche parte delle viscere, cosa da meravigliarsene non poco.”
Contrariamente all’ippopotamo, del macabro trofeo non resta più traccia; la tradizione infatti vuole che l’ultima duchessa di Mantova Susanna Enrichetta di Lorena, stanca dell’inquietante spoglia, la fece gettare nelle acque del lago.

Le note sull’ippopotamo, sulla mummia del Passerino e molti altri aneddoti e resoconti di viaggio a Mantova si possono leggere nel gustoso volume Ascesa e declino di una capitale. Storia di Mantova nelle pagine di chi ne ha scritto di Daniele Lucchini.

Per visitare il Palazzo Ducale e scoprirne la storia e i segreti non c’è che da scrivermi.

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