In questi anni di generale recupero della musica popolare viene da chiedersi se non vi siano tradizioni da rispolverare anche nel Mantovano. Oggi infatti non pare proprio esservi traccia di fenomeni simili a quelli visibili in molte province limitrofe; tuttavia, cercando con un po’ di attenzione, si può osservare che anche da noi fino agli inizi del Novecento esisteva una ricca varietà di canti e balli.
(pubblicato originariamente su Caffè Mantova il 1° ottobre 2001)
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Le testimonianze più abbondanti riguardano il lavoro delle mondine. Fino all’ultimo dopoguerra nelle risaie, diffuse soprattutto nel sinistra Mincio, si era soliti lenire le fatiche della mondatura cantando; i brani, per ovvie ragioni eseguiti sempre e solo a cappella, raccontavano svariate storie, pure se i temi più ricorrenti erano quelli di amori disgraziati – di cui troviamo esempi anche nei Canti popolari del Piemonte del Nigra e nell’album La pègra a la mateina la béla e a la sera la bala dell’ensemble emiliano La piva del carnèr – o di amori risibili di vecchiardi che sposano giovinette.
Ricca documentazione di questi canti da lavoro possiamo trovare nel repertorio della cantautrice mantovana Giovanna Daffini e ancor più nel disco prodotto negli anni ‘70 dalla Regione Lombardia I canti delle mondine.
Sappiamo anche che fino a tutto l’Ottocento nel territorio di Mantova erano diffusi i riti di questua. Si trattava di piccoli gruppi di persone che, soprattutto nel periodo natalizio, si spostavano di corte in corte cantando delle specie di auguri, come in una sorta di rito propiziatorio, aspettandosi in cambio di essere accolti a qualche tavola; qualcosa di simile è sopravvissuto in alcune zone delle sponde trentina e bresciana del Lago di Garda.
Vaghe sono invece le tracce dei cantastorie, persone itineranti di fiera in fiera che narravano in musica novità e aneddoti appresi lungo il cammino. Più facile è documentare l’attività dei contafòle, che svolgevano funzione simile raccontando fiabe di stalla in stalla durante l’inverno; dobbiamo però supporre che vi fossero pure dei primi, stando al repertorio di Tajadèla, che negli anni ‘50 proprio a loro si rifaceva, ripreso ai nostri giorni da Weiner Mazza.
Per quanto concerne la musica strumentale e il ballo invece dobbiamo andare esclusivamente per ipotesi. È presumibile che fino ai primi del Novecento vi fosse una grande varietà di musica da ballo per fisarmonica, già travolta però negli anni ‘30 dalle sonorità del liscio che in quel periodo fecero, grazie anche al genio di Gorni Kramer, di Mantova la sua capitale mondiale. Di vere e proprie danze è sopravvissuto solo il contesto. È il caso ad esempio dei falò, o burièi, dell’Alto Mantovano, attorno ai quali certamente si danzava in cerchio in momenti topici per la vita agricola, come la fine dell’inverno e i primi di maggio.
Si può dunque vedere che non resta poi molto, ma vi sono tracce, nemmeno troppo lontane nel tempo, e testimonianze geograficamente vicine che non renderebbero del tutto immotivato un tentativo di recupero della tradizione musicale popolare anche a Mantova.